sabato 9 febbraio 2008

La micro-cogenerazione


La micro-cogenerazione è nota a livello internazionale come microCHP, acronimo delle parole inglesi combined heat and power, vale a dire produzione combinata di calore ed energia.
Ciò implica che l'unità produca allo stesso tempo sia acqua calda per il riscaldamento, sia energia elettrica per l'impianto domestico o per l'immissione nell'impianto nazionale. Il prefisso “micro” è riferito al fatto che questi sistemi producono energia al di sotto dei 50 kW e non alle dimensioni degli impianti, i quali possono anche essere di dimensioni considerevoli.
In un'abitazione, un impianto di cogenerazione svolge le stesse mansioni di un impianto di riscaldamento autonomo, ovvero riscalda l'acqua di uso domestico e riscalda l'ambiente attraverso, ad esempio, termosifoni (Figura 1). Tuttavia, nel fare ciò, l'impianto microCHP è anche in grado di produrre energia elettrica, trasformandosi quindi in un generatore elettrico a tutti gli effetti.
Un impianto microCHP di dimensioni medio-piccole è in grado, generalmente, di produrre 1 kW di energia elettrica, dunque l'energia prodotta non è sufficiente, da sola, per alimentare un'intera casa. Quindi, la micro-cogenerazione può venire utilizzata a livello domestico come una sorta di “impianto di appoggio” che deve essere coadiuvato dall'impianto elettrico principale. Infatti, questo sistema immette nell'impianto elettrico l'energia che i vari utilizzatori (tutti i dispositivi elettrici della casa) richiedono, tuttavia questa energia non è sufficiente ad alimentarli tutti: qui interviene l'impianto elettrico “ordinario”, che immette nel circuito la quantità di energia mancante. Per quanto riguarda gli elettrodomestici più comuni, essi necessitano di quantitativi di energia molto elevati, dunque, se ci fosse solo il generatore elettrico microCHP, essi farebbero “saltare la luce”, ovvero richiederebbero al circuito più potenza di quanta esso ne potrebbe erogare.
Per fare qualche esempio pratico, pensiamo che un asciugacapelli consuma 1600 W, un microonde consuma 1200 W, un tostapane consuma 1500 W. E' semplice notare che l'impianto di microCHP non sarebbe in grado di fornire potenza sufficiente per nessuno di questi tre dispositivi e che quindi va interfacciato con il sistema ordinario di distribuzione dell'energia elettrica.
L'energia prodotta può anche essere immessa nella rete elettrica nazionale, ottenendo un guadagno in quanto fornitori di energia elettrica e venendo pagati dall'ente fornitore (ad esempio l'ENEL).
Per quanto riguarda il funzionamento dei sistemi di cogenerazione in generale, essi consistono in un motore primo che produce calore e in un motore secondo, collegato ad un generatore. Il motore primo è quello adibito alla produzione di energia elettrica e può funzionare in svariati modi, infatti esso può essere alimentato con le più diverse fonti: petrolio, carbone, acqua, biomasse, gas ecc.. Il motore secondo, invece, consiste in un sistema di recupero dell'energia dispersa dal motore primo, in quanto esso è adibito allo sfruttamento del potenziale energetico che, altrimenti, risulterebbe inutilizzato. Il motore secondo può essere rappresentato da diversi dispositivi, quali il motore di Stirling o turbine a gas o a vapore. Per analizzare quale dei suddetti sistemi sia il migliore, è necessario parlare di efficienza. L’efficienza rappresenta il principale beneficio dei sistemi CHP rispetto agli altri sistemi. L’EPA (Environmental Protection Agency) definisce efficienza semplice di un singolo impianto il rapporto tra l’output elettrico netto e la quantità di combustibile consumato. Altro parametro per misurare l’efficienza semplice di un impianto è la quantità di calore, definito come il rapporto tra i BTU (1 BTU = 1055,06 joule) di combustibile consumato e i kWh prodotti. Dato che i sistemi di cogenerazione producono sia energia elettrica sia calore, la loro efficienza totale è data dalla somma dell’output elettrico netto e termico diviso il combustibile impiegato. Sia l’efficienza semplice che quella totale vengono solitamente espresse in termini percentuali. L’EPA usa preferibilmente un’altra definizione di efficienza nota come “efficacia nell’utilizzazione di combustibile”, rapporto tra l’output elettrico netto e il consumo di combustibile netto (che non tiene conto del combustibile usato per produrre energia termica utilizzabile, calcolato assumendo un’efficienza specifica della caldaia dell’80%). Il reciproco di questo rapporto è la quantità netta di calore. Ora, definito il concetto di efficienza, è necessario fare un confronto tra le efficienze rispettive dei tre tipi di motori secondi di cui abbiamo parlato. Le turbine a gas sono quelle con l'efficienza più bassa, ovvero del 30%; le turbine a vapore hanno un'efficienza del 45%; i motori di Stirling hanno un'efficienza elettrica del 55 %, rivelandosi, dunque, i più efficienti sul mercato. A questo punto, risulta più che evidente la motivazione che ci ha spinti a prendere in esame i motori che lavorano seguendo il ciclo di Stirling, che ora spiegheremo.

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